L’ASSASSINIO DEL PITTORE DOMENICO CAPRIOLO

Un affascinante romanzo storico di Sante Rossetto

Aveva trovato a Treviso lavoro, amicizie, l’amore corrisposto, tre figli. E anche l’assassino, che era suo suocero, pur in seconde nozze, che lo ha freddato con un colpo di archibugio il 3 ottobre 1528 nella campagna di Ponzano. Aveva 34 anni Domenico Capriolo quel giorno che, mentre stava tagliando il miglio, venne brutalmente e cinicamente ucciso. Questioni di interesse che duravano da anni per quella contestata dote della moglie Camilla. E proprio nella piccola villa di Ponzano, che di abitanti

Sante Rossetto

arrivava a mala pena a duecento anime, il giovane artista aveva dipinto nel 1523 la pala che, ancora oggi, è l’onore della chiesa locale. Ormai quella pala tutti la conoscono come la “Formosissima”, bellissima, come l’aveva definita il vescovo Bernardino Marin nella sua visita pastorale di fine Settecento.
Una storia quella di Domenico che ancora oggi appassiona critici d’arte e ancor più gli abitanti del Comune della cintura trevigiana. Un fatto di cronaca nera dai contorni non del tutto limpidi. Che il giornalista e storico Sante Rossetto, che a Ponzano abita, ha deciso di scandagliare con documenti d’archivio. Ne è nato così l’agile romanzo storico, edito da Canova, con il titolo “Assassinio nel campo di grano”. L’autore prende per mano il giovane artista che nell’autunno del 1517 esce da Mestre per avviarsi lungo il Terraglio alla città del Sile. La guerra di Cambrai si era conclusa soltanto qualche mese prima. La Serenissima si era salvata, ma la guerra continuava perché siamo dentro quel periodo che gli storici hanno definito “le guerre d’Italia”. Ma a Treviso non ci sono pericoli. Così il nostro giovane si ambienta (oggi diremmo che si è integrato) nel capoluogo della Marca. Qui, almeno secondo il romanzo, conosce il notaio Bartolomeo Zuccato, quasi suo coetaneo, che anni dopo sarà autore di una “Cronica trevigiana” utile per studiare gli eventi del primo Cinquecento.

Domenico conosce la famiglia del pittore Pier Maria Penachi, morto qualche anno prima, sposa la giovanissima Camilla e pianta radici a Treviso. Tutto sembra avviato per il meglio. Ma presto si accendono le liti per la dote. Erano quelli tempi che una ragazza per sposarsi doveva avere una dote. Consuetudine, come si ricorderà, indispensabile fino a Novecento inoltrato. I documenti, almeno quelli rimasti e consultati, non ci dicono come siano andate le cose e per quale motivo quegli otto campi dotali abbiano costituito un problema finito con un dramma.
Rossetto ha scandagliato gli estimi della villa, esplorato i principali proprietari e offerto un quadro dell’ambiente rurale del tempo. Con i contadini che cambiavano padrone ogni tre o cinque anni, con le colture tradizionali dove troneggiava il frumento, le difficoltà quotidiane fino ad arrivare alla spaventosa carestia del 1527-1528. A darci ulteriori notizie è intervenuto il grande diarista veneziano Marin Sanudo che nei suoi volumi ha descritto la tragica condizione in cui si trovava la popolazione. Forse, pensa il lettore di oggi, quel colpo di archibugio non sarebbe stato sparato se ci fosse stato cibo per tutti. Se anche il miglio non fosse stato alimento cercato disperatamente.
Ma il libro non si limita al mondo piccolo della provincia perché nella penisola e nel resto d’Europa si combatte. Sui campi di battaglia, ma anche e forse anche con maggior decisione sul terreno spirituale. Perchè proprio quel 1517, quando Domenico entra a Treviso, a Wittenberg un monaco agostiniano dà avvio alla Riforma protestante. Nello stesso tempo sale al trono di Francia Francesco I che riconquista, grazie al decisivo apporto dell’esercito veneziano, il ducato di Milano. E, continuando, mezzo mondo, per una combinazione straordinaria, si affida alla guida dell’imperatore Carlo V. Ma non è finita perché a Oriente i turchi stanno diventando l’ossessione di tutta Europa. E allora guerre continue dove primeggiano personaggi, come Mercurio Bua, che qualche anno dopo sarà sepolto nella chiesa trevigiana di S. Maria Maggiore dove anche oggi riposa.

La storia di Domenico Capriolo diventa così l’occasione e lo spunto per analizzare e descrivere la società del primo Cinquecento. Con i suoi fatti di sangue, con la giustizia che celebra le sue truculente liturgie, con l’immancabile gotto di malvasia (era il vino greco della località omonima tanto ricercato nelle non poche osterie trevigiane), l’altrettanto celebre piatto di trippe, le manovre per eleggere il nuovo vescovo. E, nel lungo epilogo, le vicende della famiglia Penachi rimasta senza Domenico. Primeggerà allora la figura della tenace Camilla, rimasta da sola, che lotterà per la “sua” roba. Che era costituita da oltre quaranta campi nella villa ponzanese e un paio di case. Lei farà a tempo a esultare per la vittoria di Lepanto sui turchi (1571), riuscirà a sopravvivere alla peste del 1576 e lasciare questo mondo all’età di ottant’anni circa. Con il disappunto di non sapere a chi affidare tutte queste sostanze. Un colpo di archibugio aveva distrutto i Penachi e la loro storia finiva miseramente con altre baruffe per impossessarsi dell’eredità.
Il volume di Sante Rossetto ha dato un volto più chiaro ad una vicenda che ha appassionato e incuriosito oggi, ma anche nel passato, i trevigiani. Ora ne sappiamo qualche cosa di più grazie alle ricerche d’archivio. Un tassello, pur limitato, che porta nuova luce al Cinquecento trevigiano. Che, contrariamente a quello che si crede, rimane un periodo poco scandagliato dalla storiografia di casa nostra.
di R.C.