FRANCO ZIZOLA, INNO ALLA LETTERATURA

Franco è mancato tre anni e mezzo fa, all’età di 76. Era un uomo di una sensibilità unica. Come hanno quasi sempre (o proprio sempre) i “grandi”. Perchè tale sapeva di essere. Era docente di italiano e latino allo Scientifico di Montebelluna. Aveva una grande fede rappresentata dalla poesia. “I poeti soccorrono sempre, ragazzi, – soleva ammonire i suoi allievi – confortano la vita i poeti, guai, guai se non ci fossero i visionari sogni dei poeti”.
La moglie, Silvana Leggerini, conosciuta sui banchi scolastici in Umbria e compagna di esistenza, ha raccolto alcune lezioni del marito tenute all’università della terza età di Montebelluna. Ne è nato un volume dal titolo “Franco Zizola legge Leopardi, Ungaretti, Montale, Quasimodo” edito da Lunargento. L’università montebellunese è associazione, ancor oggi attiva, che Zizola contribuì a fondare nel 1988. E fu proprio lui a tenere la prolusione il 3 ottobre di quell’anno.  Un testo (e lui invita innanzitutto a consultare e compulsare i testi) limpido. Come – è uno dei concetti base –  limpidi sanno essere solo i letterati. Quelli diversi, che non si incasellano nella massa, nei gruppi dove tutto è previsto e prevedibile. Ma quelli che sfidano il pensiero comune. Come ha osato fare Franco nella sua produzione. Fin dall’opera prima con “Il convittore” (1968) per arrivare al suo finale “Roghi” del 2013. Un filo rosso lega tutta la sua opera: la lode alla diversità. “Gli scrittori – insegna – se sono scrittori veri, non impiegati a servizio delle aziende, un poco disturbano”.  Perchè la diversità è la formula della conoscenza. E allora i critici? Rappresentano la normalità. Diffondono luoghi comuni. Ecco allora l’invito ad avvicinare direttamente l’autore attraverso i testi, i versi della poesia senza intermediazioni. “Leggete Dante, Ovidio. Per voi” raccomandava ai giovani.
   Bisogna saper rifiutare le regole del gioco. Perchè tutto passa, ma la letteratura, quella vera, autentica rimane. Restano le opere di Berto, Pavese e altri autori che hanno vissuto in maniera diversa. Talora anche drammaticamente. Zizola cita Berto. Uomo coerente con se stesso, il suo passato. Scrittore che ha sempre (checchè si dica) cercato il senso della vita. Ha cercato la fede. Anche quella religiosa. E questo lo fa caro e vicino a Franco che della fede è stato sempre assetato. Fede nella onestà intellettuale, nella coerenza, nel senso del divino. Magari lontano dall’ufficialità come i nicodemisti secenteschi per i quali la verità spirituale era nella frase “intus ut vis”. Dentro di te come vuoi, non come vuole l’abitudinarietà sociale.
 Amava i poeti e le loro parole, Franco. Perchè “vanno lette, e poi lette, e poi lette ancora le parole del poeta”. La parola ha molteplici sfumature, significati altri da quelli comuni e banali. Dietro e dentro la parola vive un mondo spesso differente da quello forzato e insensibile che ci circonda. E Franco ha vissuto una esistenza coerente con la fede nella letteratura. Che ha la forza di cambiare il mondo. La letteratura dà speranza, la ragione invece no. Guardate il mondo della società tecnologica – diceva – non è più capace di credere, sommerso nell’inautentico, non ci sono più miti, gli dèi hanno abbandonato il mondo. Che cos’è quest’ ansia dannosa di progresso, di crescita continua, di benessere superfluo? Una ricerca disperata di trovare valori che abbiamo trascurato e perduto. Manca ogni sacralità; la vita stessa ha perso un senso morale. Non si può vivere senza moralità. Bisogna temere  e rifiutare l’uguaglianza che appiattisce tutto. Oggi vale l’insieme, non l’individuo. Perchè “letteratura vera – conclude – non ama grigia normalità”.
   E allora trascorriamo con pazienza queste 150 pagine di lettura poetica. Del “suo” Leopardi. Che fu diverso sotto molti aspetti. Anche quello visibile. Ma che era assetato di vita.  E poi la profonda religiosità cristiana di Giuseppe Ungaretti combattente della Grande Guerra. Continuando con Eugenio Montale per arrivare al siciliano Salvatore Quasimodo. Che ci ha dato una grande traduzione dei tragici greci. Perchè i poeti vanno tradotti prima di tutto dai loro “colleghi”. Tra di loro c’è intesa, sentimento, si riconoscono dalle parole. Silvana Leggerini ha scelto alcune lezioni, delle oltre cento tenute alla Terza Età, dedicate alla poesia. Che fu per lui fonte e motivo di vita. La poesia aiuta a vivere. E oggi ce n’è poca. Forse anche per questo siamo nevrotici, con poca speranza nel futuro. Che vediano omogeneizzato dalla televisione in un pensiero unico che recita: “Consumate e producete. Per poi produrre e consumare”. E questa voleta farcela chiamare vita?
di Sante Rossetto