Eleonora Gioia Franceschini

Venezia, Madrid, Roma, Treviso in nome dell’arte contemporanea.

Dopo il successo internazionale della prima edizione del Festival di Arte Contemporanea Ladispolaneamente, la giovane curatrice trevigiana si racconta.

C’incontriamo sul cortile chiaro, davanti l’ingresso delle Prigioni restaurate da Carlo Scarpa.
Uno sfondo monumentale che raccoglie i progetti culturali ed internazionali di Fondazione Benetton Studi e Ricerche e Fondazione Imago Mundi, per quel-la Treviso Contemporanea che indaga il tempo presente per articolare relazioni e connettere tempi e spazi.
Eleonora Gioia Franceschini esce dal labirinto, porta con sé una shopper di tela nera con il marchio Ladispolaneamente, il Festival di Arte Contemporanea che ha curato nella città sul mare di sabbia nera, a trenta minuti da Roma.
Un’operazione culturale ideata da lei e dall’amica artista Elisa Selli, entrambe ventenni, entrambe allieve di Antoni Muntadas, germinata dopo un lungo periodo di lavoro e studio a Madrid presso la galleria d’arte MPA – Moisés Pérez de Albéniz e fiorita nei giorni 22-23-24 del mese di Aprile 2022, sotto il patrocinio del Comune di Ladispoli, della Regione Lazio e dell’Università di Belle Arti – RUFA di Roma.
Poco più distante la medioevale Casa Robegan divenuta Polo dell’Arte Contemporanea e Applicata in virtù di una convenzione sottoscritta tra Comune di Treviso, l’Università Ca’ Foscari di Vene-zia e TRA Treviso Ricerca Arte potrebbe ospitare a maggio del 2023 la seconda edizione del Festival che si terrà, appunto a Treviso, come confermato anche dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Treviso.
La stampa romana e i circoli culturali della capitale hanno usato la parola successo per la prima edizione di Ladispolaneamente.

Vuole raccontarci lei il Festival di Arte Contemporanea Ladispolaneamente?

“Il Festival di Arte Contemporanea Ladispolaneamente è stato un evento di tre giorni, 22,23 e 24 Aprile 2022 tenutosi presso il Teatro Marco Vanni di Ladispoli.
Fra le numerose proposte pervenuteci a seguito dell’emissione di un bando al quale hanno partecipato un centinaio di artisti, ne abbiamo selezionato quindici, nazionali e internazionali, dai diversi percorsi e immaginari, accomunati dalla sensibilità verso il tema proposto: Archeologia del Futuro. Tale tema è stato scelto quale spunto per indagare il contemporaneo attraverso una prospettiva archeologica che ha permesso di esplorare il presente provando a immaginare come potrà es-sere percepito nel futuro. Il risultato è stato un dialogo multiplo fra spettatore e opere, e opere con le opere, che ha portato alla luce nuove considerazioni riguardo alla nostra presenza hic et nunc, costellandole di questioni culturali, antropologiche, politiche e sociali.
Si è trattato di un evento che ha riscosso grande successo in una città che, fino a quel momento, non aveva goduto di manifestazioni culturali connesse all’arte contemporanea”.

Perchè ha pensato di portarlo a Treviso nel 2023?

“Ho pensato potesse essere una sfida interessante gemellare due città considerate satellite delle più rinomate Roma e Venezia, poiché anch’esse sono luoghi autonomamente pregni di storia dell’arte e della cultura. Treviso, in particolare, mia città natale, è stata grembo di grandi nomi e per questo reputo vada celebrata anche nella sua contemporaneità, offrendo alle persone un evento nuovo che dia spazio a tanti talenti meritevoli d’essere scoperti da un pubblico sempre più ampio.”.

Perchè, a suo parere, è importante offrire il punto di vista dell’artista contemporaneo anche nelle “città d’argento” dei circuiti artistici?

“Ritengo che l’arte ci aiuti a riflettere, l’artista è termometro della contemporaneità e, attraverso le sue opere, è in grado di risvegliare in noi domande e pensieri dei quali, talvolta, non siamo coscienti. Vivere l’arte contemporanea e, con vivere, intendo propriamente lasciarsi coinvolgere da essa, significa ampliare le nostre vedute intellettuali ed emotive. Porsi delle questioni di fronte alle opere è già un ottimo modo per indagare la contemporaneità, percependola e analizzandola da una prospettiva diversa. Per tali ragioni credo che l’arte non debba avere limitazioni o essere circoscritta a determinati ambienti ma, al contrario, debba espandersi nel tempo e nello spazio, coinvolgendo più persone e aprendo nuovi interrogativi”.

Il Piano dell’Arte Contemporanea, giunto ai suoi primi vent’anni, è stato rifinanziato nel 2021 dal ministro Franceschini, così da consentire ai musei e luoghi pubblici della cultura italiana di incrementare il proprio patrimonio, aprendosi anche ai nuovi linguaggi. A suo parere quali sono i linguaggi più contemporanei dell’arte?

“Non credo si possano definire dei linguaggi più o meno contemporanei. L’artista sceglie un medium in base a ciò che vuole esprimere, pertanto anche un quadro può essere contemporaneo, pur essendo figlio di una tecnica tanto antica com’è la pittura. Certo, se ci focalizzassimo sul presente, potremmo asserire che l’arte di derivazione digitale non è certo del passato; ma ciò la renderebbe necessariamente più contemporanea, ad esempio, di una scultura? Si potrebbe aprire un coinvolgente dibattito in merito a tale questione.
Credo che il futuro dell’arte sarà un interessante ibrido fisico-virtuale —sostenevo questo già qualche anno fa, prima dello scoppio della bomba NFT—.
In questo senso ritengo, allora, che musei e gallerie dovrebbero iniziare a pensare a una conversione dei propri modelli, spazi, e opere adeguandosi anche al mondo parallelo.
Investire cioè sulla qualità della presenza fisica ma anche virtuale considerandolo il tema della ripresa; presenza che significa saper stare nella contemporaneità, in un
determinato istante, rea-le o virtuale che sia.”

Da curatrice di arte contemporanea: cos’è che la colpisce maggiormente?
“Ciò che maggiormente mi colpisce, è la capacità di arrivare all’essenza delle cose. Penso sempre che l’opera non sia solo occasione di percepire per il fruitore ma, soprattutto, ch’essa sia un modo per l’artista di proiettarvi il suo sensibile al fine di visualizzarlo con più chiarezza.
Per questo ritengo che riuscire a presentare un la-voro nella sua sostanza, significhi esser riusciti a scavare a fondo in se stessi portando, allo spettatore, il nucleo delle proprie questioni.”

CHI E’ ELEONORA GIOIA FRANCESCHINI

Nata a Treviso nel 1994 Laurea Triennale in Lingue, civiltà e scienze del linguaggio (Italiano, Spagnolo, Inglese) – curriculum letterario culturale, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con votazione 110/110 cum laude. Tesi: Ricostruzione letteraria delle interazioni colloquiali: pragmatica del dialogo e limiti della scrittura.
Lo studio approfondisce le differenze fra comunicazione orale e scritta a partire dalla conversazione e, più nello specifico, dalla forma del dialogo. Ciò che si vuole sottolineare è che esiste una distinzione fondamentale fra quello che il lettore percepisce come dialogo colloquiale nella lingua scritta e quello che, propriamente, si definisce un dialogo colloquiale orale. In effetti, attraverso l’analisi di molteplici documenti – orali e scritti letterari – si evidenziano caratteristiche proprie di ogni canale di comunicazione riconducibili a motivazioni di ordine pragmatico e comunicativo.

Laurea Magistrale in Arti Visive e Moda presso l’Università IUAV di Venezia con votazione 110/110. Tesi di laurea in estetica e teoria della percezione: Il sensibile e l’atmosfera. La metamorfosi dell’opera d’arte nella relazione soggetto, atmosfera, opera.
Secondo un approccio fenomenologico, l’estetica del sensibile si è spesso affidata a degli strumenti descrittivi delle esperienze vissute. Tuttavia, a causa del carattere vago e transitorio delle stesse, si è reso necessario ripensare il procedimento di indagine in senso sistematico classificando, all’interno di una equazione percettiva, gli elementi soggetto-atmosfera-opera quali termini egualmente indispensabili, nel loro hic et nunc, alla produzione di una situazione relazionale e, dunque, alla conseguente manifestazione ed esperienza del fenomeno sensibile.
Lo studio ha così reso evidente come non si possa più considerare legittima una teoria dualistica, tesa a separare nettamente soggetto/fruitore e oggetto/opera, poiché essi sono parte di una più grande sovra-struttura che unisce, nell’esperienza o equazione in atto, i loro sensibili.
In questo senso, il sensibile dell’opera non risulta più un’emanazione oggettiva né, tantomeno, una questione puramente soggettiva, ma sensibile riversatosi come fenomeno nello spazio e diffusosi, attraverso l’atmosfera, a seguito di questo incontro.

Esperienze professionali in Italia e in Spagna, nei settori arte, design e moda.

di Giampaolo Zorzo