LE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO: Demografia, Ambiente, Meta.

Un nuovo pensiero per il lavoro che ci salvera’.

Dialogo denso con MARCO BENTIVOGLI.

Lo spoglio biancore del centro Tamai di Silea accoglie, a dicembre, la potenza del messaggio di Marco Bentivogli, cinquantenne coneglianese, co-fondatore di Base, associazione che raccoglie idee buone al servizio di una politica basata su digitale ed ecologia; con lui anche Luciano Floridi, filosofo e professore Ordinario di Filosofia e Etica dell’Informazione a Oxford.
Il tema è il lavoro; l’incontro è organizzato dal coordinamento provinciale di Anteas col patrocinio del comune di Silea. Gli uditori sono, oltre alla scorta di Bentivogli, i rappresentanti dei lavoratori della provincia di Treviso, poggiati su sedie di plastica, sparse sul pavimento lucidissimo, che simula sabbia.
Occorrono cuore e menti aperte per accogliere il pensiero di Marco Bentivogli. Dare senso al concetto di lavoro, ovvero significato, sensazione e direzione; farne esperienza etica e spirituale, crocevia della trasformazione sociale e produttiva, renderlo libero, creativo, partecipativo, solidale. Un lessico che disorienta i rappresentanti dei lavoratori e ritengo, dopo vent’anni di Confindustria, corrosivo della policy fondativa del sistema di rappresentanza imprenditoriale. Eppure contemporaneo, atto a costruire architetture di pensiero sulle quali erigere nuovi patti sociali e nuove interpretazioni esistenziali.

La citazione di Edgar Morin: “In un oceano d’incertezze, siamo chiamati a costruire arcipelaghi di certezze” sottende la decisione di differire l’intervista a Marco Bentivogli oltre il tempo del seminario, di seguito riprodotta.
“E io lavoravo con le mie mani e (con loro?) voglio lavorare. È ancora il tempo dell’Homo Faber? Se sì, è finito il tempo dell’Uomo Macchina?

“Quella narrazione secondo cui la tecnologia ruba il lavoro all’uomo è una vera e propria fake news di retaggio neoluddista. La tecnologia consente di liberare l’uomo nel lavoro e non da esso, nel senso che può sostituire i compiti gravosi e ripetitivi in favore di quelli a maggiore ingaggio cognitivo, costruendo quella che mi piace definire una realtà “a umanità aumentata”. Insomma, la tecnologia non distrugge il lavoro ma lo crea ed è la working, ma soprattutto dalle basse competenze si arriva alle competenze elevate. In questo contesto si sgretola anche il legame che esisteva nel lavoro fordista tra orario di lavoro e spazio, la tecnologia permette nuove modalità di lavoro a partire dallo stesso smart working. Un assist, quello che arriva dal lavoro agile, anche per uno sviluppo urbano più sostenibile e uno stile di vita che permette al lavoratore di avere più tempo per sé ed essere, al contempo, più produttivo. È chiaro che una rivoluzione di questo calibro richiede un ripensamento strutturale dell’impianto dei diritti del lavoro, che devono diventare, in primis, strumenti in grado di accompagnare il lavoratore. Si tratta all’evidenza di un balzo in avanti per l’umanità, di un salto di qualità del lavoro (e di conseguenza della società) che non è tecnico ma soprattutto culturale. Abbiamo la possibilità di creare lavoro a maggiore ingaggio cognitivo e minore fatica, esaltando una caratteristica incontenibile con la macchina: la nostra umanità”.

E se cambiano i tempi dei lavori, quali luoghi/metaluoghi ci saranno?

“Se consideriamo che i vantaggi dello smart working, oltre a riguardare un aiuto all’ambiente, i costi dei trasporti e il risparmio sulle spese degli edifici destinati agli uffici “Fantozzi scrivanocentrici”, sono legati all’opportunità di centralizzare le periferie, promuovendo anche lo sviluppo del dipendente che diventa autonomo nella gestione dei propri spazi e dei propri tempi, con maggiore propensione alla creatività della persona, in favore di una più netta conciliazione vita-lavoro. La storia fordista è ormai alle nostre spalle. Bisogna guardare al futuro. Pensiamo ad esempio a Fastweb, una tra le tante aziende che adottano questo nuovo alfabeto, dove l’unica scrivania “personale” rimasta è quella dell’Amministratore Delegato. L’emergenza Coronavirus è uno spartiacque unico, un punto di non ritorno. Il mondo non sarà più lo stesso, e di conseguenza anche il lavoro, da sempre crocevia del cambiamento e delle grandi trasformazioni nel cammino dell’umanità. Il dato di fatto reale è che le aziende che già avevano intrapreso un percorso di lavoro agile hanno resistito meglio alla crisi generata dalla pandemia, mentre le altre, compresa gran parte della pubblica amministrazione, si sono dovute rapportare alle nuove esigenze con grande difficoltà. Queste hanno potuto ricorrere al massimo a forme di telelavoro piuttosto che di lavoro agile, che è invece il lavoro per obiettivi. Se pensiamo alle aziende più interessanti che assumono giovani talenti, questi chiedono loro un buono stipendio, un buon sistema di welfare ma soprattutto il lavoro per obiettivi e dunque spazi di smart working”.

Gli esperti di scienze ambientali ed antropologiche hanno trac-ciato a 50 anni un fine die per la specie umana.
Che effetti produce sulla perce-zione collettiva del sistema socioeconomico?

“Le grandi trasformazioni che l’umanità ha davanti sono tre: ambientale, demografica e digitale. Le conseguenze da un punto di vista della percezione ricadono soprattutto sui giovani. L’invecchiamento demografico del nostro paese sta diventando un ulteriore alibi per la politica per non occuparsi della questione giovani. Bisogna invece fare in modo che le nuove generazioni si riapproprino della loro dimensione di futuro, attraverso un protagonismo immediato, nel presente. Candidarli alla panchina civile e alle liste d’attesa è sintomo di un paese ripiegato su sé stesso. Come creare ecosistemi? Con Alfonso Fuggetta, professore ordinario del Politecnico di Milano e Amministratore Delegato di Cefriel, un anno fa abbiamo proposto un piano per costruire la “Rete Nazionale dell’Innovazione Tecnologica”, una vera e propria “Fraunhofer italiana”. I Competence Center e i Digital Innovation Hub, i due strumenti per il trasferimento tecnologico del Piano Industria 4.0, non rispondono esattamente a quello che servirebbe urgentemente in Italia”.

Dal Caos si possono generare le stelle. Così dal nostro tempo usciranno solo razzi interstellari? E chi resterà a terra?

“La pandemia ha dimostrato che le aziende che avevano investito in lavoro agile già prima dell’emergenza sanitaria hanno retto meglio la crisi. Il lavoro tornerà forte se sarà ciò che tiene insieme delle comunità di persone libere e solidali e che apprezzano il lavoro anche perché luogo che custodisce questi valori. Se riusciamo a introdurre il tema del lavoro come elemento caratterizzante la crescita dell’individuo, capace di raffinare la formazione interiore e accrescere le potenzialità della persona, riusciamo a sviluppare una “cultura positiva” sul lavoro.
Ripensare il lavoro vuol dire ripensare la vita come incentrata sulla fatica e sulla propria partecipazione al sacrificio nella società: non vuol dire immolarsi, bensì stare dentro il cammino della storia, sentendosene protagonisti ciascuno per la propria parte e partecipando con la propria offerta. La misurazione della «prontezza» aziendale nell’introdurre il lavoro agile passa anche attraverso un coinvolgimento diretto dei collaboratori, ai quali viene chiesto di esprimersi, attraverso la compilazione di una survey, in merito ad alcune dimensioni «chiave» dello smart working, quali la fiducia e l’autonomia, la condivisione degli obiettivi, l’efficacia della comunicazione, l’efficienza degli strumenti tecnologici, l’adeguatezza degli spazi, il funzionamento del sistema di valutazione della performance, le modalità di svolgimento del processo produttivo, la qualità delle regole in uso e infine la percezione dei vantaggi che le persone individualmente e l’azienda nel suo insieme potrebbero trarre dallo smart working. Resterà a terra chi non investirà in tecnologia, in nuovi spazi e nuove forme di conciliazione vita-lavoro e – soprattutto. – in formazione. Dall’autunno scorso in Italia un’importante parte del mondo produttivo si trova in grosse difficoltà, con il rischio di chiudere, mentre un’altra è nelle condizioni di correre e crescere. Dovremo vedere come il nostro Paese sarà in grado di attivare strumenti per interpretare questo momento e mettere in atto politiche pubbliche di accompagnamento all’innovazione, per esempio attraverso il rinnovamento del Piano nazionale Industria 4.0. Bisogna mettere insieme il “piano Amaldi” sulla ricerca e il network per un Fraunhofer Italia a partire dalle eccellenze sull’innovazione di cui disponiamo. Bisogna avere un piano strategico che agganci i nuovi ecosistemi territoriali e le PMI alla ricerca e all’innovazione. Sarà necessario evitare la doppia sconfitta: quella di chi perderà il lavoro in aziende fuori dal gorgo dell’innovazione e quelle che invece accelereranno senza accompagnare le persone nella loro riqualificazione professionale”.

Uno “sviluppo gentile” che tenga al centro l’uomo. Crede che un novellato Umanesimo possa accogliere il bipede umano fra le altre forme di vita animale ancora viventi?

“Dobbiamo immaginare quello che ci sarà dopo il capitalismo: la persona, come protagonista di partecipazione e riscatto del lavoro dignitoso, quello che realizza, cambia le imprese, il territorio, le relazioni e i rapporti sociali, quello che giorno dopo giorno, rende più umani. Ribaltiamo la discussione: invece di mettere in luce cosa si abbandona, torniamo a valorizzare la libertà di scelta delle persone e le motivazioni che orientano i loro percorsi. Torniamo a scegliere noi i territori e le città dove vivere. Non le città vetrina dove tra Ztl e periferia ci sono 5-6 anni di speranza di vita di differenza (in Brasile, a San Paolo 25). Valorizziamo con le nostre decisioni audaci, i lavori, le imprese, i corpi sociali e politici che sono great place to learn, to grow. Dove non si smetta mai di crescere perché la formazione è un diritto, un dovere. Il miglior luogo di lavoro è quello dove la sfida progettuale è alta non solo perché l’ansia che ne consegue è grande ma perché la si compie insieme e con gli strumenti migliori: la migliore qualità di formazione. Abbiamo abusato di un lessico che non sa far altro che ricondurre le persone al denaro come unico generatore di valori, di significati e di senso. Finalmente ci si accorge che questa riduzione non solo è disumana ma neanche funziona. Ciò può rappresentare un’occasione per un nuovo inizio, per costruire una condizione umana più piena. Non servono gli esperti della fuga dal lavoro, ma architetti del nuovo lavoro, “workitect”. Coloro che hanno la capacità e il coraggio di riflettere e progettare, andando oltre le vecchie categorie, perfette per capire ieri, ma che oggi sono inutili se non dannose finanche a descrivere il lavoro”.

di Sabrina Danieli Franceschini