GENERAZIONE 56K

La serie televisiva che “Spacca”

i tutte le serie viste nel 2021, Generazione 56K è quella piaciuta di più a chi scrive. Una sola stagione – per ora – da otto puntate, tutte della durata di circa trenta minuti, per raccontare la storia di un incontro casuale di due trentenni dei giorni nostri, che assieme ricordano il 1998, l’anno della prima cotta giovanile.
Ma quella cotta è stato solo il frutto di una tempesta ormonale, oppure nascondeva un sentimento più profondo, rimasto a covare sotto la cenere per due decenni? Daniel e Matilda, interpretati da Angelo Spagnoletti e Cristina Cappelli sono i protagonisti della storia ambientata tra Napoli e Procida, ottimamente diretti da Francesco Ebbasta che ha realizzato questa serie in collaborazione con Netflix e i The Jackal, noto gruppo comico che nella serie è superbamente rappresentato da Gianluca Fru e Fabio Balsamo che interpretano rispettivamente Luca e Sandro. Un tema conduttore, che viene adeguatamente esplorato, è quello dell’evoluzione tecnologica: nei flashback della serie, i giovani protagonisti sono alle prese con l’avvento della connessione internet e col famigerato modem a 56K, mentre da grandi l’iperconnettività che ormai fa parte delle nostre vite tende a condizionare le loro scelte e le loro decisioni. Generazione 56K è un’idea nata ad un matrimonio a cui ha partecipato il regista Francesco Ebbasta, che ha raccontato a ComingSoon: “Generazione 56K è nata qualche anno fa come l’idea di un romanzo, poi diventata una serie. Ero a un matrimonio estivo e lo sposo, un mio amico, un po’ brillo mi confessò che era molto felice di aver scelto la moglie ma che il fatto che fossero cresciuti nello stesso paesino gli faceva venire qualche dubbio. Pensava: ‘E se non fosse la mia anima gemella?’ Il dubbio poi è rientrato ma è rimasta questa paura di poter desiderare qualcos’altro anche se non lo si desidera davvero”, ha spiegato il regista e ideatore Francesco Ebbasta. La colpa (o il merito) è di internet, che ha stravolto le nostre vite offrendoci infinite possibilità.
“Questa euforia ha un nome, FOMO (Fear of missing out, la paura di perdersi qualcosa), e si è trasformata in questa incapacità di scegliere ciò che vogliamo davvero. In questo mare di infinite possibilità, i nostri protagonisti riescono a capire quello che davvero li fa stare bene”, ha aggiunto.
La serie è davvero gradevole e scorre via veloce, alternando momenti divertenti ad istanti di riflessione e anche di commozione. Bravissimi anche gli interpreti dei giovani protagonisti. L’auspicio è che la serie non si fermi qui: del resto il finale resta aperto a futuri sviluppi di ogni genere…

di Ubaldo Saini