Gianfranco Tonin “L’arte parla, anzi URLA”

“L’artista si trova nella stessa posizione del pensatore rivoluzionario, che si oppone all’opinione dei contemporanei e annuncia una nuova verità”.

Con questo pensiero di Konrad Fiedler – Teorico e storico tedesco dell’arte (Öderan, Sassonia, 1841 – Monaco 1895) – introduco la mia intervista all’artista Gianfranco Tonin, vincitore della sezione “Opera più votata dal pubblico” al Premio Internazionale per l’Arte Contemporanea Visioni Altre 2022-2023 di Venezia.

GIANFRANCO TONIN

Incontro Gianfranco Tonin, al “Meidea Atelier” di Castelfranco Veneto, in occasione di zéeero 2023. Due giornate di convegni e workshop dedicati alla “moda circolare”, al riciclo, al rispetto della natura, dell’ambiente e all’arte contemporanea. “Meidea Atelier” è una “location” atipica per un percorso espositivo, ma proprio per questo il mio interesse è grande.
Le opere di Gianfranco Tonin sono realizzate con la plastica, un materiale che invade le nostre case e il nostro pianeta.

Quando ha sentito la necessità di abbandonare le “tecniche tradizionali” per sperimentare nuovi materiali?
“Dal 2017 ho cominciato a utilizzare la plastica nella realizzazione di opere che rappresentano il mare e i suoi organismi viventi, in un percorso che dalla rappresentazione figurativa si arriva all’opera informale, nascondendo tuttavia una visione iperrealista poiché, guarda caso, è esattamente quello che possiamo trovare nella realtà”.

A che età a sentito la “vocazione” per l’arte?
“Sin da giovane, frequentavo il Liceo Artistico, ma mi sono subito interessato più all’arte contemporanea che a quella classica. Negli anni ‘70 ero alla ricerca di una essenzialità, tecnica e cromatica, che lasciasse spazio all’immaginazione e alla poesia giungendo quindi a una rappresentazione in bianco e nero, due tonalità essenziali, neutre e contrapposte quali sinonimo di giusto e ingiusto, di buono e cattivo, di bello e brutto, di ombra e luce. Gradualmente, ho abbandonato il colore per utilizzare solo la matita e il cartoncino bianco, riprendevo ritratti o figure umane e li rielaboravo, ricontestualizzandoli, creando altre immagini in un fotografico realismo figurativo dal sapore underground. La provocazione portava messaggi diretti, netti che il bianco e il nero accentua”.

Queste opere lasciano trasparire un chiaro messaggio di denuncia.
“L’avidità di una società votata al profitto e all’effimero sta portando l’essere umano alla ricerca di un benessere non più sostenibile. Il pianeta vive un degrado ecologico e sociale che ci sta portando a rischio di una futura estinzione. Denuncia che non si può ignorare e che ho avuto il piacere di trovare anche nella lettera enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco e di cui consiglio la lettura”.

L’arte per comunicare che stiamo andando da troppo tempo in una direzione sbagliata. Quindi, come sosteneva Konrad Fiedler, l’artista è anche a suo modo un profeta?
“Si, abbiamo visto in varie epoche la “provocazione” dell’arte, che è un linguaggio universale, è un mezzo per stimolare culturalmente; da Giotto con la cacciata dei mercanti dal tempio, alla Scuola di Atene di Raffaello per indicare i valori del bene, del vero e del bello, a Goya che con “Fucilazione del 3 maggio 1808”, per la prima volta vengono denunciati gli orrori della guerra, per proseguire con Picasso, il movimento DADA ecc. Abbiamo visto l’arte guidare cambiamenti molto importanti nel sociale ad esempio la PopArt è stata una svolta radicale nel mondo dell’arte; fondendo l’arte “raffinata” destinata a pochi ricchi o ai soli Musei con la cultura popolare; ha ovviamente generato un cambiamento nel sociale, negli stili di vita e nel pensiero. Come spesso accade i cambiamenti al primo istante creano scompiglio, non sono graditi; la “Fontana” di Duchamps (ovvero un orinatoio rovesciato), che oggi è considerata tra i principali capolavori del Novecento, all’epoca è stata una grande provocazione non gradita ai critici d’arte e al pubblico, Andy Warhol con la sua serigrafia del 1962, “Campbell’s Soup Cans”, altro esempio del periodo “ready-made” (oggetti di uso comune contestualizzati in altro ambiente ed elevati ad opera d’arte) ha scatenato un dibattito internazionale.

Ma oggi si può vivere d’arte?
“Si può vivere per l’arte, ma è molto difficile poter vivere d’arte. La strada per rendere la vocazione per l’arte una professione è lunga e ci sono molti ostacoli; finito il mecenatismo è venuto a mancare il sostegno economico alle attività artistiche e culturali, quindi è necessario avere una professione per autofinanziarsi. Io ad esempio ho lasciato l’arte per molti anni; ho creato però la mia più bella opera d’arte: la mia famiglia”.

Un consiglio per i giovani che sentono la “vocazione artistica”.
Ai giovani artisti consiglio di scegliere, se possibile, professioni che siano adatte alle loro doti artistiche e continuare a divertirsi ed esprimersi con l’arte senza mai perdere la speranza di poter vivere d’arte”.

Un sogno nel cassetto.
“Vivere d’arte”

di Nicoletta Bortolozzo